giovedì 20 dicembre 2012

L'incontro

Ero lì, in quel non luogo dal forte sapore suburbano, dove un ponte ha l’aspetto di un abbraccio consolatorio per quei treni che ogni giorno si incontrano, senza mai potersi toccare. Quasi fosse una metafora della mia voglia di starti più vicino. Ma i binari della mia timidezza, mi hanno tenuto lì, fermo e immobile. Lasciandomi solo un filo di voce per esprimere un concetto semplice, come quello di chiedere un indicazione “scusami mi sono perso, la metropolitana è qui vicina”? E tu, chiusa nel tuo cappotto e nel tuo cappello marrone, in un brivido, ti sei scrollata di dosso la diffidenza che trasmette quel luogo. Il mio accento partenopeo come un ottimo compagno di viaggio ha fatto il resto. “Non è lontana, saranno duecento metri. Scendi qui a destra e ci sei”. Una frase di due secondi che mi ha dato il tempo di dividerti in mille fotogrammi. Fotogrammi di inquadrature strette sulle tue labbra, sulle tue mani e sui tuoi occhi. Le mie labbra invece, si chiusero in un banale “Ok grazie”. E tu di tutta risposta, senza lasciare trasparire nessuna timidezza... “Se ti perdi fai un fischio". E io tirai fuori il peggior sorriso che avevo a disposizione. Finì così, quasi fosse un colpo di vento in alta montagna. Ma ora nella mia testa non c’è che quella immagine di pochi secondi, che moltiplico per arrivare a sera. Secondi che diventano minuti, minuti ore e ore che diventano quegli infiniti giorni che mi dividono da quell’incontro. Ti cerco, perché sento che in un respiro ho avuto la fortuna di accarezzare l’amore. Era il 15 novembre, erano le 23.30, eravamo sul Cavalcavia Bussa. Tu avevi una bicicletta grigia, un cappotto, un cappello di lana e un cellulare che da tempo si era allontanato dal futuro.

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